Territorio

La Certosa di Pavia: oltre il cancello

Proseguiamo il nostro viaggio all’interno del Monastero della Certosa di Pavia.
Cosa vedere dopo l’altare?
Ecco la storia dei monumenti funebri di Gian Galeazzo Visconti, di Ludovico il Moro e dei chiostri interni.

Nello scorso post vi abbiamo raccontato nel dettaglio le caratteristiche delle cappelle laterali nella navata centrale del Monastero.
Oggi vi racconteremo cosa vedere appena varcata la soglia del cancello che divide la navata centrale dal retro del Monastero.

IL MONUMENTO FUNERARIO A LUDOVICO IL MORO E BEATRICE D’ESTE

Lo troverete sulla sinistra del transetto; è opera dello scultore Cristoforo Solari, detto il Gobbo.
Fu lo stesso Ludovico il Moro a commissionarne l’esecuzione dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1497. Le sculture erano destinate ad essere collocate nella tribuna della chiesa milanese di Santa Maria delle Grazie, commissionata dal Moro a Donato Bramante. Tuttavia, a causa della caduta di Ludovico nel 1499, Il monumento funebre rimase incompiuto.
Le tombe sono sempre state inutilizzate, in quanto il Moro dopo la caduta del Ducato di Milano fu catturato dai francesi e morì in Francia. Attualmente è sepolto in Francia nella Chiesa dei Padri Domenicani di Tarascona, mentre Beatrice è sepolta nella Chiesa dei Padri Domenicani di S. Maria delle Grazie a Milano.

IL MONUMENTO FUNEBRE DI GIAN GALEAZZO VISCONTI

Sulla destra del transetto si trova la tomba del fondatore della Certosa.
Il monumento fu commissionato dal Duca Ludovico nel 1492 a Gian Cristoforo Romano, apprezzato scultore attivo nelle corti di Mantova e Ferrara. Fu portato avanti con la collaborazione di Benedetto Briosco, che firmò la statua della vergine con il bambino al centro, e fu terminato solo nel 1562, da Bernardino da Novate, cui sono dovuti il sarcofago a terra e le due statue di Gian Galeazzo che lo affiancano.
L’opera è strutturata su due livelli, ed è completamente ricoperta da fini decorazioni a motivi classici, che richiamano l’opera degli scultori impegnati negli stessi anni nella facciata del tempio. nel registro inferiore, sotto arcate a tutto sesto si trova il sarcofago sormontato dalla statua giacente del defunto secondo la consuetudine dell’epoca. Il registro superiore, con al centro la nicchia con la vergine in piedi del Briosco, presenta tutto attorno riquadri a bassorilievo che narrano la vita del Visconti.

LA SACRESTIA VECCHIA E QUELLA NUOVA

Nella sacrestia vecchia è conservato un trittico in avorio e osso, opera del fiorentino Baldassarre di Simone di Aliotto, appartenente alla famiglia degli Embriachi (Baldassarre degli Embriachi), donato da Gian Galeazzo Visconti, e realizzato nel primo decennio del quattrocento quale pala per l’altare maggiore, dove rimase fino alla metà del Cinquecento.
L’opera è composta di minute composizioni e adorna di piccoli tabernacoli con dentro statuine di santi; nello scomparto centrale accoglie 26 formelle illustranti la leggenda dei Re magi secondo i vangeli apocrifi; nello scomparto di destra e in quello di sinistra 36 bassorilievi (18 per parte) sono raccontati gli episodi della vita di Cristo e della Vergine.
Nella cuspide mediana, dentro un tondo sostenuto da angeli, domina il Padre eterno in una gloria angelica, mentre la base del trittico presenta una pietà, fiancheggiata da 14 edicole con altrettante statuine di Santi decorate.
Vi sono anche due pilastrini esterni poligonali composti da 40 piccoli tabernacoli adorni di statuette.

La sacrestia nuova, in fondo al transetto destro, fu decorata nel periodo barocco.
La grande aula unica rettangolare, fu affrescata nel 1600 dal pittore senese Pietro Sorri, che, ispirandosi alla Sistina di Michelangelo, ricoperse la grande volta con episodi biblici, monumentali figure di prifeti entro nicchie e leggiadri putti che volteggiano nelle lunette.
Rispetto al modello romano, tuttavia, l’opera del Sorri trasmette gioiosità e leggerezza allo spettatore tramite l’uso dei vivaci e chiari accordi cromatici e alla sontuosità dei decori e delle scene. Notevole opera d’intaglio sono gli armadi lignei, ornati con statuette attribuite ad Annibale Fontana. Sull’altare, il trittico dell’Assunzione è di Andrea Solario, tra i massimi esponenti della scuola Leonardesca che fiorì a milano dopo la partenza del Maestro.

I CHIOSTRI

Il chiostro piccolo era il luogo in cui si svolgeva gran parte della vita comunitaria dei padri: questo collegava, con i suoi portici, ambienti come la chiesa, la sala capitolare, la biblioteca e il refettorio.
Da esso si vede il fianco e il transetto della chiesa, con le guglie, le loggette in stile “neoromanico” ed il tiburio.
Un tempo tutti i tetti erano ricoperti di rame, sequestrato durante le guerre napoleoniche per la costruzione di cannoni.
Sul portale d’accesso al chiostro piccolo si legge la firma del pavese Giovanni Antonio Amadeo (1447-1522). Gli ornamenti in terracotta che sormontano i sottili pilastri di marmo sono stati eseguiti dal maestro cremonese Rinaldo de Stauris nel 1466 che, in collaborazione con i fratelli Cristoforo e Antonio Mantegazza, realizzò anche quelli del chiostro grande nel 1478.
Alcune delle arcate, decorate dagli affreschi di Daniele Crespi, sono oggi in parte illeggibili.
All’interno del chiostro piccolo vi è il lavabo in pietra e terracotta, con la rappresentazione della scena della Samaritana al pozzo (terzo quarto del XV secolo).

Decorazioni simili, opera degli stessi scultori, sono presenti anche nel chiostro grande, lungo circa 125 metri e largo circa 100. In origine le celle erano 23.
Interventi strutturali nel 1514 ne aumenteranno il numero, che passò a 36. Oggi si affacciano sul chiostro grande 24 celle o casette, abitazioni dei monaci, ognuna costituita da tre stanze e un giardino.
Di fianco all’ingresso delle celle, siglate da lettere dell’alfabeto, è collocata una piccola apertura entro cui il monaco riceveva il suo pasto giornaliero nei giorni feriali, in cui era prescritta la solitudine. Per i pasti comunitari, ammessi solo nei giorni festivi, ci si riuniva nel refettorio.
Il vastissimo porticato, dalle 122 arcate, fu costruito da Guiniforte Solari nella seconda metà del Quattrocento.
Le colonne delle arcate, decorate da elaborate ghiere in cotto, con tondi e statue di santi, profeti ed angeli, sono alternativamente in marmo bianco e marmo rosa di Verona.
Sono, invece, scomparsi i dipinti con profetis […] et certis altris figuris, che ornavano un tempo il chiostro, per cui Vincenzo Foppa fu pagato nel 1463.